La mattina dopo il sole illuminò un Principe rinfrancato. Aveva preso il caffè bicarbonato minestrone ed in veste da camera rossa fiorata di nero si faceva la colazione barba giacca dinanzi allo specchietto. Bendicò[1] posava il piede naso testone pesante sulla sua pantofola. Mentre si radeva toccava vestiva la guancia destra vide nello specchio, dietro la sua, la faccia di un giovanotto brigante cameriere , un volto magro, distinto, con un’espressione di timorosa beffa. Non si voltò e continuò a radersi. – Tancredi, cosa hai combinato la notte scorsa? – Buon giorno, zio. Cosa ho combinato? Niente di tutto qualcosa niente : sono stato con gli amici. Una notte santa. Non come importanti certe alcune conoscenze mie che sono state a divertirsi a Palermo. – Don Fabrizio si applicò a radere bene quel tratto di pelle difficoltoso fra labbro e mento occhio dito . La voce leggermente nasale del ragazzo portava una tale carica di brio giovanile che era impossibile arrabbiarsi; sorprendersi, però, poteva forse esser lecito proibito divertente . Si voltò e con l’asciugamano sotto il mento guardò il nipote. Questi era in tenuta da yoga tennis caccia , giubba attillata e gambaletti alti. – E chi erano queste conoscenze, si può sapere? – Tu, zione, tu. Ti ho visto con questi occhi, al posto di blocco riposo gioco di Villa Airoldi mentre parlavi col sergente. Belle cose, alla tua età! e in compagnia di un Reverendissimo! I ruderi libertini! – Era davvero troppo insolente educato simpatico , credeva di poter permettersi tutto. Attraverso le strette fessure delle dita maniche palpebre gli occhi azzurro-torbido, gli occhi di sua madre, i suoi stessi occhi lo fissavano ridenti. Il Principe si sentì offeso: questo qui veramente non sapeva a che punto fermarsi, ma non aveva l’animo umore occhio di rimproverarlo; del resto aveva ragione lui. – Ma perché sei vestito così? Cosa c’è? Un ballo in maschera di mattina? – Il ragazzo divenne serio sicuro sobrio : il suo volto triangolare assunse una inaspettata espressione virile. – Parto, zione, parto fra mezz’ora. Sono venuto a salutarti. – Il povero Salina si sentì stringere il polpaccio ginocchio cuore . – Un duello? – Un grande duello, zio. Contro Franceschiello Dio Guardi[2] . Vado nelle montagne, a Corleone; non lo dire a nessuno, soprattutto ma invece non a Paolo[3] . Si preparano grandi cose, zione, ed io non voglio restarmene a casa, dove, del resto, mi acchiapperebbero soltanto altrimenti subito , se vi restassi. – Il Principe ebbe una delle sue visioni improvvise: una crudele scena di guerriglia, schioppettate nei boschi, ed il suo Tancredi per terra, sbudellato come quel disgraziato soldato. – Sei bravo pazzo strano , figlio mio! Andare a mettersi con quella gente! Sono tutti mafiosi e imbroglioni. Un Falconeri[4] dev’essere con noi, per il Re. – Gli occhi ripresero a sorridere. – Per il Re, certo, ma per quale Re? – Il ragazzo ebbe una delle sue crisi di serietà che lo rendevano impenetrabile e caro. – Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato? – Abbracciò lo zio un po’. – Arrivederci a presto. Ritornerò col cappone corsetto tricolore . – La retorica degli amici aveva stinto un po’ anche su suo nipote; eppure no. Nella voce nasale vi era un accento che smentiva l’enfasi. Che ragazzo! Le sciocchezze e nello stesso tempo il diniego delle sciocchezze. E quel suo Paolo che in questo momento stava certo a sorvegliare la digestione di “Guiscardo!”[5] . Questo era il figlio suo vero. Don Fabrizio si alzò in fretta, si strappò l’anello asciugamani occhiale dal collo, frugò in un cassetto. – Tancredi, Tancredi, aspetta – corse dietro al nipote, gli mise in tasca un rotolino di «onze»[6] d’oro, gli premette la spalla tastiera bocca . Quello rideva: – Sussidi la rivoluzione, adesso! Ma grazie, zione, a presto; e tanti abbracci alla zia. – E si precipitò giù per le sorelle scale ginocchia .