Quello che segue è un racconto scritto da Alda Merini e pubblicato nella raccolta Il ladro Giuseppe, per la casa editrice Scheiwiller, nel 1999.
C’è un caffè, giù sulla Ripa, gestito da due sorelle dove io mi ritrovo tutti i giorni insieme ad altre compagne di sventura. Sì, perché la vita è una enorme assurda sventura. I nostri discorsi li conosciamo a memoria come conosciamo a memoria la vita l’una dell’altra. Abbiamo tutte un punto debole, un punto doloroso di cui parliamo sempre e questo caffè somiglia o un confessionale o a un luogo di psicoterapia piuttosto che a una birreria. Una volta un tizio mi disse che non davo buono spettacolo facendomi vedere lì dentro mentre le altre massaie rassettavano la casa, ma io mi ero messa a ridere; e dove la trovavo io la forza di andare avanti, se nessuno mi parlava mai? Sì, d’accordo, erano discorsi scuciti di gente molto vicina all’arteriosclerosi, ma in fondo erano discorsi umani accorti, anzi con un certo piglio signorile perché le persone che frequentavano questo bar avevano tutte licenza di credere che sarebbero state persone altolocate se il caso fosse stato benigno. Beh, ecco, il baretto consta di un largo pancone e poche sedie per le persone più anziane, ma ci si trova bene e si addice meravigliosamente al Naviglio che sta di fronte. Fuori la scritta “La Madonina” precisa che ci troviamo proprio a Milano, nel cuore della vecchia città, che non ci possiamo sbagliare e che lì dentro è tutto milanese; le sorelle poi che gestiscono il locale – il quale non ha subito modifiche da oltre un centinaio di anni – sono abilissime e curiose, quel tanto di curiosità che basta a farti dire con piacere le tue cose private come se ti scaricassi di un lungo inveterato peso. “La Madonina”: ecco il mio punto fermo nella vita e alle volte vorrei scrollarmelo di dosso come un piacere che non merito, a volte mi dico che ho cose più urgenti da fare, che non è giusto che una madre di famiglia si sieda a prendere un buon caffè; ma poi mi consolo pensando che sì, in fondo, non vado mai dal parrucchiere, che non ho altri sfoghi e così mi adagio serenamente nella poltrona del piccolo caffè e lì comincio a dipanare ricordi senza fine e senza nome sulla scie dei discorsi degli altri, fumandomi qualche sigaretta, regalata anche quella dall’alice che è la più giovane delle sorelle. Così, ecco un punto fermo. Credo che tutti nella vita ne abbiano bisogno uno; chi se lo fa al bar, chi in altri posti, chi persino in chiesa. E poi – lo crederesti, lettore? – in questo bar qualche volta si prega: sì, perché, vedete, siamo tutte persone spaurite che andiamo a rifugiarci lì dentro a chiedere una grazia – solo che questa grazia invece di chiederla a Dio la chiediamo a una buona tazza di caffè.
Comprensione del testo
Nel testo, come viene descritto il ruolo che il caffè “La Madonina” ha nella vita della narratrice? a) Un luogo dove si va solo per gustare un buon caffè e fumare una sigaretta. b) Un luogo di rifugio dove si può condividere la propria vita con altre persone che frequentano il posto. c) Un luogo di estraneità dove le persone evitano di condividere le proprie esperienze personali. d) Un luogo dove si va principalmente per discutere di argomenti superficiali e triviali.
Nel testo, come viene descritta l’atmosfera all’interno del caffè “La Madonina”? a) Un luogo moderno e alla moda, frequentato principalmente da giovani. b) Un luogo che non ha subito modifiche da oltre un secolo, gestito da due sorelle curiose e capaci. c) Un ambiente freddo e impersonale, dove le persone raramente interagiscono tra loro. d) Un locale commercializzato con un’ampia gamma di servizi e intrattenimenti disponibili.
Quale descrizione riflette meglio l’opinione della narratrice riguardo alle conversazioni che si svolgono nel caffè “La Madonina”? a) Discorsi superficiali e senza sostanza, tenuti principalmente per riempire il silenzio. b) Conversazioni profonde e significative che offrono uno scambio umano genuino e a volte un certo piglio signorile. c) Dialoghi leggeri e divertenti, che servono principalmente come mezzo di evasione dalla realtà quotidiana. d) Discussioni accese e polemiche, che spesso portano a disaccordi e conflitti.
Vi proponiamo un bellissimo brano tratto dal testo Il gusto della lettura, di Tullio De Mauro.
Leggere, potere leggere, avere il gusto di leggere, è un privilegio. È un privilegio della nostra intelligenza, che trova nei libri l’alimento primo dell’informazione e gli stimoli al confronto, alla critica, allo sviluppo. È un privilegio della fantasia, che attraverso le parole scritte nei secoli si apre il varco verso l’esplorazione fantastica dell’immaginario, del mareggiare delle altre possibilità tra le quali si è costruita l’esperienza reale degli esseri umani. È un privilegio della nostra vita pratica, perfino economica: chi ha il gusto di leggere non è mai solo e, con spesa assai modesta, può intessere i più affascinanti colloqui, assistere agli spettacoli più fastosi. Non c’è cocktail party, non c’è terrazza, non happening, non premiere che offra quello che chi ha gusto di lettura può trovare solo allungando la mano verso un qualsiasi modesto palchetto di biblioteca. Non c’è Palazzo che valga quello di Armida, o quell’ hegeliano castello del sapere dalle cento e cento porte, dove suonano solo le quiete voci della conoscenza e della fantasia. E mentre altre esperienze si consumano nel ripetersi, nel leggere, invece, come ha detto una volta un poeta, dieci e dieci volte possiamo tornare sullo stesso testo, ogni volta riscoprendone un nuovo senso, un più sottile piacere.
Comprensione del testo
Nel testo, quale aspetto dell’esperienza della lettura viene definito come un privilegio per l’intelligenza umana? a) La possibilità di sviluppare la creatività attraverso le attività manuali b) L’opportunità di esplorare nuovi luoghi attraverso viaggi fisici c) La possibilità di ottenere stimoli per il confronto e lo sviluppo critico attraverso i libri d) L’opportunità di interagire con altre persone in eventi sociali
Come viene descritta l’esperienza di leggere lo stesso testo più volte, secondo quanto espresso nel testo? a) Come un’esperienza che tende ad essere monotona e prevedibile b) Come una possibilità di riscoprire continuamente nuovi significati e piaceri più sottili c) Come un’attività che tende a diminuire il piacere ad ogni lettura successiva d) Come un’esperienza che offre un unico significato costante ad ogni lettura
In base al testo, quale funzione detiene la lettura nel contesto dell’immaginario umano? a) Restringe la capacità di immaginare e esplorare nuove possibilità. b) Consente un’esplorazione fantastica dell’immaginario e il fluire di altre possibilità nella costruzione dell’esperienza umana reale. c) Funge da strumento per comprendere soltanto la realtà tangibile e presente. d) Limita l’esperienza umana alle sole informazioni e conoscenze presenti nel testo letto.
Questa fiaba di Italo Calvino è intitolata “Il principe granchio”. Purtroppo un colpo di vento ha messo in disordine i paragrafi. Prova a riordinarli tu! La A è corretta.
A. Una volta c’era un pescatore che non riusciva mai a pescare abbastanza da comprare la polenta per la sua famigliola. Un giorno, tirando le reti, sentì un peso da non poterlo sollevare, tira e tira ed era un granchio così grosso che non bastavano due occhi per vederlo tutto. – Oh, che pesca ho fatto, stavolta! Potessi comprarmici la polenta per i miei bambini!
B. Allora il vagabondo uscì da dietro ai tendaggi, si tuffò anche lui nella vasca e nuotando sott’acqua andò a sbucare nella peschiera del Re. La figlia del Re che era lì a guardare i suoi pesci, vide affiorare la testa del vagabondo e disse: – Oh: cosa fate voi qui? – Taccia, padroncina, – le disse il vagabondo, – ho da raccontarle una cosa meravigliosa -. Uscì fuori e le raccontò tutto. – Adesso capisco dove va il granchio da mezzogiorno alle tre! – disse la figlia del Re. – Bene, domani a mezzogiorno andremo insieme a vedere.
C. Rispose il Re: – Ma cosa vuoi che me ne faccia di un granchio? Non puoi andarlo a vendere a qualcun altro? In quel momento entrò la figlia del Re: – Oh che bel granchio, che bel granchio! Papà mio, compramelo, compramelo, ti prego. Lo metteremo nella peschiera insieme con i cefali e le orate.
D. Tornò a casa col granchio in spalla, e disse alla moglie di mettere la pentola al fuoco che sarebbe tornato con la polenta. E andò a portare il granchio al palazzo del Re. – Sacra Maestà, – disse al Re, – sono venuto a vedere se mi fa la grazia di comprarmi questo granchio. Mia moglie ha messo la pentola al fuoco ma non ho i soldi per comprare la polenta.
E. Seduta su uno scoglio, con le otto damigelle vestite di bianco, su otto scogli intorno, la figlia del Re suonava il violino. E dalle onde venne su la Fata. – Come suona bene! – le disse. – Suoni, suoni che mi piace tanto!
F. Così l’indomani, nuotando per il canale sotterraneo, dalla peschiera arrivarono alla sala e si nascosero tutti e due dietro i tendaggi. Ed ecco che a mezzogiorno spunta fuori la Fata in groppa al granchio.
G. Lasciata la Fata e tornando a nuotare verso la peschiera, il Principe – perché era un Principe spiegava alla sua innamorata, stretti insieme dentro la scorza di granchio, cosa doveva fare per liberarlo: – Devi andare su uno scoglio in riva al mare e metterti a suonare e cantare. La Fata va matta per la musica e uscirà dal mare a ascoltarti e ti dirà: «Suoni, bella giovane, mi piace tanto». E tu risponderai: «Sì che suono, basta che lei mi dia quel fiore che ha in testa». Quando avrai quel fiore in mano, sarò libero, perché quel fiore è la mia vita.
H. Intanto il granchio era tornato alla peschiera e lasciò uscire dalla scorza la figlia del Re. Il vagabondo era rinuotato via per conto suo e, non trovando più la Principessa, pensava d’essersi messo in un bel guaio, ma la giovane ricomparve fuori dalla peschiera, e lo ringraziò e compensò lautamente. Poi andò dal padre e gli disse che voleva imparare la musica e il canto. Il Re, che la contentava in tutto, mandò a chiamare i più gran musici e cantanti a darle lezioni.
I. La Fata batte la bacchetta e dalla scorza del granchio esce fuori il bel giovane e va a mangiare. Alla Principessa, se il granchio già le piaceva, il giovane uscito dal granchio le piaceva ancora di più, e subito se ne sentì innamorata. E vedendo che vicino a lei giaceva la scorza del granchio vuota, ci si cacciò dentro, senza farsi vedere da nessuno.
J. La Principessa non si stancava mai di guardare quel granchio e non s’allontanava mai dalla peschiera. Aveva imparato tutto di lui, delle abitudini che aveva, e sapeva anche che da mezzogiorno alle tre spariva e non si sapeva dove andasse. Un giorno la figlia del Re era lì a contemplare il suo granchio, quando sentì suonare la campanella.
K. Questa figlia del Re aveva la passione dei pesci e se ne stava delle ore seduta sull’orlo della peschiera in giardino, a guardare i cefali e le orate che nuotavano. Il padre non vedeva che per i suoi occhi e la contentò. Il pescatore mise il granchio nella peschiera e ricevette una borsa di monete d’oro che bastava a dar polenta per un mese ai suoi figlioli.
L. Il giovane si sedette a tavola, la Fata batté la bacchetta, e nei piatti comparvero le vivande e nelle bottiglie il vino. Quando il giovane ebbe mangiato e bevuto, tornò nella scorza di granchio, la Fata lo toccò con la bacchetta e il granchio la riprese in groppa, s’immerse nella vasca e scomparve con lei sott’acqua.
M. S’affacciò al balcone e c’era un povero vagabondo che chiedeva la carità. Gli buttò una borsa di monete d’oro, ma il vagabondo non fu lesto a prenderla al volo e gli cadde in un fosso. Il vagabondo scese nel fosso per cercarla, si cacciò sott’acqua e si mise a nuotare.
N. La Fata e il granchio saltarono nella sala, la Fata toccò il granchio con la sua bacchetta, e dalla scorza del granchio uscì fuori un bel giovane.
O. Il fosso comunicava con la peschiera del Re attraverso un canale sotterraneo che continuava fino a chissà dove. Seguitando a nuotare sott’acqua, il vagabondo si trovò in una bella vasca, in mezzo a una gran sala sotterranea tappezzata di tendaggi, e con una tavola imbandita.
P. Così, tornata a casa, la Principessa disse al Re che s’era tanto divertita, e nient’altro. L’indomani alle tre, si sente un rullo di tamburi, uno squillo di trombe, uno scalpitìo di cavalli: si presenta un maggiordomo a dire che il figlio del suo Re domanda udienza.
Q. Il Principe fece al Re regolare domanda della mano della Principessa e poi raccontò tutta la storia. Il Re ci restò un po’ male perché era all’oscuro di tutto; chiamò la figlia e questa arrivò correndo e si buttò nelle braccia del Principe: – Questo è il mio sposo, questo è il mio sposo! – e il Re capì che non c’era altro da fare che combinare le nozze al più presto.
R. Quando il giovane rientrò nella scorza di granchio ci trovò dentro quella bella ragazza. – Cos’hai fatto? – le disse, sottovoce, – se la Fata se n’accorge ci fa morire tutt’e due. – Ma io voglio liberarti dall’incantesimo! – gli disse, anche lei pianissimo, la figlia del Re. – Insegnami cosa devo fare. – Non è possibile, – disse il giovane. – Per liberarmi ci vorrebbe una ragazza che m’amasse e fosse pronta a morire per me.
S. Il vagabondo uscì dalla vasca e si nascose dietro i tendaggi. A mezzogiorno in punto, nel mezzo della vasca spuntò fuori dall’ acqua una Fata seduta sulla schiena d’un granchio.
T. La Principessa disse: – Sono io quella ragazza! Intanto che si svolgeva questo dialogo dentro la scorza di granchio, la Fata si era seduta in groppa, e il giovane manovrando le zampe del granchio come al solito, la trasportava per le vie sotterranee verso il mare aperto, senza che essa sospettasse che insieme a lui era nascosta la figlia del Re.
U. Appena ebbe imparato, la figlia disse al Re: – Papà, ho voglia d’andare a suonare il violino su uno scoglio in riva al mare. – Su uno scoglio in riva al mare? Sei matta? – ma come al solito la accontentò, e la mandò con le sue otto damigelle vestite di bianco. Per prevenire qualsiasi pericolo, la fece seguire da lontano da un po’ di truppa armata.
V. La figlia del Re le disse: – Sì che suono, basta che lei mi regali quel fiore che porta in testa, perché io vado matta per i fiori. – Glielo darò se lei è capace d’ andarlo a prendere dove lo butto. – E io ci andrò, – e si mise a suonare e cantare. Quando ebbe finito, disse: – Adesso mi dia il fiore. – Eccolo, – disse la Fata e lo buttò in mare, più lontano che poteva.
W. La Principessa lo vide galleggiare tra le onde, si tuffò e si mise a nuotare. – Padroncina, padroncina! Aiuto, aiuto! – gridarono le otto damigelle ritte sugli scogli coi veli bianchi al vento. Ma la Principessa nuotava, nuotava, scompariva tra le onde e tornava a galla, e già dubitava di poter raggiungere il fiore quando un’ondata glielo portò proprio in mano.
X. In quel momento sentì una voce sotto di lei che diceva: – Mi hai ridato la vita e sarai la mia sposa. Ora non aver paura: sono sotto di te e ti trasporterò io a riva. Ma non dire niente a nessuno, neanche a tuo padre. Io devo andare ad avvertire i miei genitori ed entro ventiquattr’ore verrò a chiedere la tua mano. – Sì, sì, ho capito, – lei gli rispose, soltanto, perché non aveva più fiato, mentre il granchio sott’ acqua la trasportava verso riva.