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Dialetti d’Italia

Completa questa intervista al Prof. Gian Luigi Beccaria, coniugando i verbi tra parentesi, in tutti i modi e i tempi possibili.

Lingua o dialetti?

In Italia da molti anni (essere) in corso un acceso dibattito fra i fautori dei dialetti e chi li (avversare) . Diciamo subito che dal punto di vista linguistico i dialetti italiani e la lingua nazionale (essere) sullo stesso piano: entrambi hanno avuto la stessa ’nobile’ origine, cioè il latino. Non è vero che i dialetti sono una corruzione dell’italiano. È vero invece che italiano e dialetti (avere) un diverso ruolo sociolinguistico: il primo è la lingua della comunicazione all’interno della Repubblica Italiana (e della Repubblica di San Marino e nel Canton Ticino elvetico); i secondi hanno uso più limitato, in qualche caso (limitarsi) all’uso familiare.

Perché il toscano ha avuto più fortuna?

Perché ragioni culturali, storiche, economiche ecc. (fare) sì che la formidabile produzione letteraria del Trecento (Dante, Petrarca e Boccaccio) sviluppatasi in Toscana (diffondere) in gran parte della Penisola. Così autori non toscani quali il napoletano Sannazzaro e l’emiliano Boiardo (scrivere) in toscano.

Poteva andare diversamente?

Probabilmente sì. Se, ad esempio, la stessa sorte (toccare) alla Scuola poetica siciliana (sec. XII), noi oggi forse parleremmo una lingua con caratteristiche siciliane. Ma è un gioco della fantasia!

Allora non si è trattato di un’imposizione?

A differenza di ciò che (accadere) in Francia o in Inghilterra l’italiano (diffondersi) senza l’appoggio di un apparato statale fino almeno all’unità d’Italia. Del resto i precedenti interventi dei vari stati italiani (tendere) a operare scelte politiche nell’ambito amministrativo con scarsissima incidenza sulla popolazione quasi completamente analfabeta (l’80% circa al momento della formazione dello Stato unitario).

Si può dire che il piemontese, il marchigiano, il napoletano ecc. sono lingue?

Sì e no per le ragioni anzidette. Bisogna tuttavia (tenere) presente che chi oggi sostiene tale affermazione lo (fare) come reazione a un periodo di grande disprezzo per i dialetti a tal punto che aborrisce l’uso dello stesso termine "dialetto". È significativo che anche nell’ambito del linguaggio ufficiale dell’Unione Europea si (parlare) esclusivamente di lingue minoritarie, meno diffuse, regionali ecc.

Qual è l’origine dei dialetti italiani?

Con la conquista romana il latino si è diffuso in mezza Europa e soprattutto nel bacino del Mediterraneo sovrapponendosi alle lingue parlate in precedenza da quelle popolazioni. Dalla commistione di questi elementi e da quelli derivanti dalle successive invasioni barbariche (generarsi) i vari dialetti d’Italia. Altre teorie più recenti sostengono che il padre di tutti i dialetti non (essere) il latino della romanizzazione ma il latino parlato prima di Roma durante un fase di latinizzazione verificatasi nelle regioni in cui i latini e altri popoli italici (soggiornare) prima di fermarsi nelle zone che storicamente conosciamo. Ciò (confermare) dalle grandi aree dialettali attuali che coincidono con frontiere di antiche culture dell’Italia preistorica, come è dimostrabile con dati linguistici e archeologici.

Ma tutti i dialetti italiani hanno come antenato il latino?

No. I dialetti tedeschi di alcuni comuni attorno al Monte Rosa (alemanni) di tredici comuni veronesi e di sette vicentini (cimbri), di alcuni comuni friulani (carinziani), dei sud-tirolesi, dei mocheni (bavaresi) e così i dialetti sloveni del Friuli Venezia Giulia, quelli croati del Molise, quelli grecanici (o grichi) del Salento e dell’estremità meridionale della Calabria e quelli albanesi (diffondere) in gran parte dell’Italia centro meridionale e in Sicilia hanno padri diversi dal latino.

Quali sono i gruppi in cui si suddividono i dialetti italiani?

Una prima grande suddivisione è quella che, seguendo la linea La Spezia-Rimini (separare) i dialetti settentrionali da quelli centro meridionali: i primi infatti appartengono alla Romània occidentale, i secondi alla Romània orientale, l’altra grande distinzione che (interessare) l’Europa latinizzata. Nell’Italia settentrionale (procedere) da ovest verso est si hanno i dialetti gallo-romanzi (occitani e francoprovenzali), i dialetti gallo-italici (piemontese, lombardo, ligure, emiliano, romagnolo), veneti, ladini, friulani, toscani, centro-meridionali (umbro, marchigiano, abruzzese, molisano, pugliese, campano, lucano, salentino, calabrese, siciliano) e il sardo.

(da www.atlantelinguistico.it)

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Il musicista invidioso – Dino Buzzati

Coniuga i verbi tra parentesi usando indicativo imperfetto e passato remoto, congiuntivo imperfetto, gerundio semplice, forma attiva e forma passiva. Presta attenzione alle maiuscole.

Il compositore Augusto Gorgia, uomo invidiosissimo, già al colmo della fama e dell’età, una sera, (passeggiare) da solo nel quartiere, (udire) un suono di pianoforte uscire da un grande casamento.
Augusto Gorgia (fermarsi) . (Essere) una musica moderna però diversa dal tipo che (fare) lui o da quella che (fare) i colleghi; di simile non ne aveva mai sentita. Non si (potere) neppur dire, lì per lì, se (essere) seria o leggera; pur ricordando certe canzoni popolari per una sua trivialità, (contenere) un amaro sprezzo, e (sembrare) quasi che (scherzare) benché nel fondo si (avvertire) una convinzione appassionata. Ma soprattutto Gorgia (colpire) dal linguaggio, il quale (essere) libero dalle vecchie leggi armoniche, spesso stridulo e arrogante, e nello stesso tempo riusciva a una massima evidenza. La (caratterizzare) inoltre un bello slancio, giovanile levità, senza alcuna traccia di fatica. Ma ben presto il piano (tacere) e inutilmente Gorgia (continuare) a passeggiare nella via (aspettare) che (ricominciare) .

(da Dino Buzzati, Il musicista invidioso)

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Storia del Monte dei Paschi di Siena

Coniuga i verbi scegliendo tra indicativo imperfetto e passato remoto, nella forma attiva o passiva.

Il Monte di Pietà, o Monte Pio, (nascere) il 27 febbraio 1472 con una delibera del Consiglio Generale della Repubblica, al fine di concedere il prestito alle “povare o miserabili o bisognose persone” con un minimo tasso d’interesse. La sua origine e la sua natura lo qualificano come un istituto del tutto laico, abilitato fin dall’inizio a praticare un interesse del 7,50%, senza perciò aspirare a speculazioni, ma evitando anche il prestito gratuito voluto dai frati Minori Francescani, tenaci propugnatori dei Monti di pietà. “Monte”, in questo caso, indica una raccolta di denaro, offerto o depositato e poi erogato a fini assistenziali.

La parola (avere) però anche altri significati, sempre collegati a un’idea di unione o accumulazione, tanto che i gruppi ereditari di governo protagonisti della vita politica senese fin dal XIV secolo (chiamarsi) Monti, distinguendosi col nome assunto dalle singole consorterie: Monte dei Gentiluomini, Monte dei Nove, Monte dei Dodici e così via.

Proprio al Monte dei Gentiluomini (appartenere) quelle famiglie dell’aristocrazia terriera senese che già nel XIII secolo avevano intrapreso una proficua attività nel commercio e in particolare nel traffico del denaro, sviluppando l’uso della “lettera di cambio” e quello della “fede di deposito”. Dalle fiere di Lagny-sur-Marne, di Bar-sur-Aube, di Provins, di Troyes e di Saint-Germaindes- Prés, le Compagnie mercantili senesi dei Ruggeri, degli Angiolieri, dei Tolomei, dei Gallerani (spingersi) sulle strade dei grandi mercati europei, prestando denaro a principi e a prelati e divenendo esattori delle decime pontificie, ovvero banchieri della Curia romana come i Buonsignori, o accollatari delle gabelle dell’Impero come i Salimbeni.

Una coraggiosa resistenza non (bastare) a salvare l’antica repubblica di Siena contro gli eserciti alleati dell’imperatore Carlo V e del duca di Firenze, Cosimo de’ Medici, che, al termine di un lunga guerra, nel 1557 (avere) in feudo l’antico Stato senese. I senesi (ottenere) però di mantenere alcune antiche magistrature e (accettare) la loro richiesta di poter riprendere l’attività del Monte Pio che il 14 ottobre 1568 (avere) un nuovo statuto, conforme a quello del Monte di pietà di Firenze. I documenti contabili del Monte Pio testimoniano il progressivo sviluppo del credito agricolo e fondiario e del prestito fruttifero.

Nel 1580 con l’assunzione del servizio di esattoria dell’Ufficio pubblico dell’Abbondanza il Monte Pio (confermare) il suo ruolo di banca pubblica. La convinzione di dover ampliare le azioni di beneficenza del Monte Pio (spingere) i cittadini senesi a chiedere la creazione di un nuovo istituto bancario, che potesse fornire un sostegno finanziario all’economia cittadina in difficoltà. In particolare la nuova banca avrebbe dovuto agevolare gli agricoltori e gli allevatori di bestiame, nonché alcune istituzioni cittadine, permettendo anche forme di deposito di capitali privati. Il Granduca (accogliere) la richiesta, ma a condizione che a garanzia dell’istituzione della nuova banca fossero vincolate le rendite dei pascoli demaniali della Maremma.

Nel 1624 si (giungere) quindi alla fondazione del nuovo istituto, che (dovere) essere amministrato da otto cittadini appartenenti alla classe nobile. Le rendite dei pascoli maremmani detti “Dogana dei Paschi” (da cui (derivare) il nome del Monte dei Paschi) (dividere) in porzioni del valore di cento scudi, da collocarsi presso i risparmiatori attraverso titoli che (garantire) una rendita annuale del 5%.

Nell’ultimo periodo del governo di Gian Gastone de’ Medici l’amministrazione del Monte dei Paschi e quella del Monte Pio (subire) notevoli difficoltà finanziarie. Ma nel 1737, con la morte di Gian Gastone, la famiglia Medici (estinguersi) e la Toscana (passare) sotto la dinastia dei Lorena che (dare) nuovo impulso alla banca. Con il rescritto deI 1759 (incrementare) la potenzialità del Monte, assoggettando nello stesso tempo la sua amministrazione al controllo governativo. In questi anni il Monte (avere) spesso difficoltà a rispondere alle crescenti domande di prestito; la raccolta del risparmio attraverso l’emissione delle sue obbligazioni non (potere) infatti oltrepassare il limite del fondo di garanzia che più di una volta fu quindi ampliato dal governo su richiesta della Banca.

Durante i venticinque anni di regno di Pietro Leopoldo, iniziato nel 1765, il controllo governativo sul Monte (accrescersi) notevolmente e in particolare nell’ultimo decennio del suo governo la banca (subire) decisivi mutamenti strutturali, il primo dei quali (essere) l’unificazione — nel 1784 — del Monte dei Paschi e del Monte Pio sotto il nome di Monti Riuniti. Fu inoltre definitivamente abolita anche la competenza giudiziaria penale e civile per i magistrati del Monte.

Nel 1786 poi, (decidere) che la nuova Comunità civica senese eleggesse ogni tre anni fra i nobili della città otto Deputati — ovvero amministratori — dei Monti Riuniti. Di questa Deputazione (fare) parte anche il Provveditore, che già (nominare) dal sovrano. Quasi tutti membri dell’aristocrazia terriera locale, i nobili senesi incaricati di amministrare la banca non (dimenticare) i vincoli che (legare) i Monti al territorio e alle istituzioni senesi. Frequenti (essere) , infatti, le elargizioni caritative decise anche per far fronte a molti problemi di carattere straordinario come il disastroso terremoto che (colpire) Siena il 26 maggio 1798.

(da www.mps.it)

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Intervista a Mario Capecchi

Completa la seguente intervista a Mario Capecchi, premio Nobel per la Medicina nel 2007, coniugando i verbi nei modi e nei tempi adeguati.

Perché ha scelto i topi?
Il genoma murino (essere) al 99,9% simile a quello umano e quindi se modifichiamo un determinato gene in un topo, (aspettarsi) che l'effetto osservato (rispecchiare) quello che avverrebbe nell'uomo. Perciò possiamo arrivare a capire la funzione del gene non solo nei topi ma anche negli esseri umani e questo (valere) sia per i geni che coinvolgono la fisiologia che per quelli relativi ai comportamenti.

Però il cervello dei topi è diverso dal nostro.
E' vero, è diverso in alcuni aspetti, (essere) molto più piccolo e quindi non ci aspettiamo che (essere) intelligente come noi. Ma per molti comportamenti innati, quindi già codificati nel DNA (come ad esempio (avere) paura, fame e il fatto di pulirsi) ci aspettiamo che topi e umani (essere) identici.

Riguardo la paura, i topi sono molto pavidi di natura.
Sì, è vero e (essere) anche attivi soprattutto di notte. Ma anche noi dobbiamo essere in grado di valutare un pericolo e prendere la decisione di fuggire o di affrontarlo. Dobbiamo capire quando (avere) fame o sete e provvedere di conseguenza. E dobbiamo anche pulirci, un'attività che (condividere) da tutti gli organismi.

Ma come si fa a capire se un topo ha disturbi psichici osservando i suoi comportamenti?
(Esistere) già alcuni test comportamentali per valutare, appunto, i comportamenti, ma credo che (essere) necessario svilupparne di nuovi. Esistono già altri mezzi per gli esseri umani. Ad esempio, si può praticare l'analisi dell'imaging funzionale. Si può osservare il cervello, (vedere) quali aree sono attive e quali inattive in reazione alla vista di una certa immagine o a certe attività. In futuro, speriamo di poter ottenere e interpretare i risultati dell'imaging sul cervello del topo e a partire da lì, trarne inferenze su che cosa (stare) pensando il topo.

Lei sta pensando di mettere i topi in una macchina per l'imaging?
Sì, per la RMI o nello scanner per la tomografia assiale, fare una risonanza magnetica funzionale insomma, osservare quali aree cerebrali (avere) un'attività elevata nel topo, paragonarle con le configurazioni cerebrali che osserviamo negli esseri umani e dedurne quello che (succedere) nel cervello del topo.

Nei topi l'attività cerebrale (produrre) una cascata di reazioni chimiche.
Sì infatti possiamo anche fare ricerca sui neurotrasmettori, sui neurorecettori. Tutte le analisi biochimiche si possono fare sia per i cervelli dei topi che per quelli umani.

Ma lei è un genetista e quindi penso che (occuparsi) della componente genetica dei problemi psichici dei topi.
Sì, solo che recentemente ci stiamo concentrando di più sul comportamento, e anche sullo sviluppo cerebrale perché penso che le due cose siano collegate. Secondo la mia opinione, risulterà che le funzioni cerebrali (dipendere) da come si è formato il cervello.

Però se io sono depressa, posso dirglielo, ma un topo non può parlare.
Giusto, gli esseri umani possono parlare, valutare attraverso la comunicazione quali sentimenti o emozioni provano, mentre con i topi no. Tuttavia sono sicuro che anche i topi (potere) soffrire di depressione. La depressione è molto diffusa tra gli uomini, circa il 15% delle persone soffre a un certo punto di depressione acuta. Ma negli uomini e nei topi, ci sono sintomi in comune, come l'inattività. Con la depressione, le attività alle quali (dedicarsi) una persona/un topo di solito (diminuire) palesemente. Così possiamo utilizzare un indice di attività per misurare se un topo è depresso o no. E ci sono altri sintomi comuni alle due specie che ci possono servire per fare correlazioni.

I topi di laboratorio però sono allevati per essere tutti uguali, mentre il cervello umano ha una complessità individuale e cambia con l'ambiente. Questa non è una difficoltà per le due ricerche?
Esatto. Abbiamo ceppi di topi tutti imparentati, molto definiti. Anche io penso che (esserci) una grande interazione tra ambiente esterno e i geni di cui siamo portatori. Però, (studiare) due gemelli umani omozigoti cresciuti in ambienti diversi, si scopre che hanno preferenze comuni non solo per certi colori, ma anche per certi modelli e persino in politica, e (comportarsi) in modo molto simile. Per questo credo che nel comportamento ci sia una fortissima componente genetica ed è questo che dobbiamo scoprire.

(da www.molecularlab.it)

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Sette piani – Dino Buzzati

Coniuga i verbi usando indicativo imperfetto, passato remoto e trapassato prossimo, congiuntivo imperfetto, gerundio semplice, forma attiva e forma passiva. Presta attenzione alle maiuscole.

Dopo un giorno di viaggio in treno, Giuseppe Corte (arrivare) , una mattina di marzo, alla città dove (esserci) la famosa casa di cura. (Avere) un po' di febbre, ma (volere) fare ugualmente a piedi la strada fra la stazione e l'ospedale, (portarsi) la sua valigetta.
Benché (avere) soltanto una leggerissima forma incipiente, Giuseppe Corte era stato consigliato di (rivolgersi) al celebre sanatorio, dove non si (curare) che quell'unica malattia. Ciò (garantire) un'eccezionale competenza nei medici e la più razionale ed efficace sistemazione d'impianti.
Quando lo (scorgere) da lontano - e lo (riconoscere) per averne già visto la fotografia in una circolare pubblicitaria - Giuseppe Corte (avere) un'ottima impressione. Il bianco edificio a sette piani (solcare) da regolari rientranze che gli (dare) una fisonomia vaga d'albergo.Tutt'attorno (essere) una cinta di alti alberi.
Dopo una sommaria visita medica, in attesa di un esame più accurato Giuseppe Corte (mettere) in una gaia camera del settimo ed ultimo piano. I mobili (essere) chiari e lindi come la tappezzeria, le poltrone (essere) di legno, i cuscini rivestiti di policrome stoffe. La vista (spaziare) su uno dei più bei quartieri della città. Tutto (essere) tranquillo, ospitale e rassicurante.

(da Dino Buzzati, Sette piani)

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Il barone rampante – Italo Calvino

Coniuga i verbi usando indicativo presente, passato remoto, imperfetto, trapassato prossimo, congiuntivo imperfetto. Presta attenzione alle maiuscole.

(essere) il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, (sedere) per l’ultima volta in mezzo a noi. (ricordare, io) come (essere) oggi. (essere, noi) nella sala da pranzo della nostra villa d’Ombrosa, le finestre (inquadrare) i folti rami del grande elce del parco. (essere) mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione (sedere) a tavola a quell’ora, nonostante (essere) già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera Corte di Francia, d’andare a desinare a metà del pomeriggio. (tirare) vento dal mare, ricordo, e (muoversi) le foglie. Cosimo (dire) : - Ho detto che non voglio e non voglio! - e (respingere) il piatto di lumache. Mai (vedere) disubbidienza più grave.

(da Italo Calvino, Il barone rampante)

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Il plurale dei nomi composti

Forma il plurale dei seguenti nomi composti:

1) Il camposanto - i
2) Il francobollo - i
3) Il capostazione - i
4) La capofamiglia - le
5) Il capofamiglia - i
6) Il cavatappi - i
7) La mezzaluna - le
8) Il chiaroscuro - i
9) La cassaforte - le
10) Il capocuoco - i
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Discorso diretto e discorso indiretto

Volgi al discorso indiretto le seguenti frasi.

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Discorso diretto e discorso indiretto

Volgi al discorso indiretto le seguenti frasi.

1) Ho detto a Luca: «Non posso venire al cinema domani».
→ Ho detto a Luca che non al cinema il giorno dopo.
2) Martina ha detto: «Qui mi trovo molto bene».
-→ Martina ha detto che molto bene.
3) Giorgio chiese a Luisa: «Esci con me questa sera?».
→ Giorgio chiese a Luisa se .
4) Giacomo mi ha chiesto: «Hai telefonato a Michele?».
-→ Giacomo mi ha chiesto se a Michele.
5) «Fra un'ora ci vediamo?».
→ Mi chiese se .
6) Gli ho detto: «Ti chiamo stasera».
→ Gli ho detto che .
7) «Non vengo in questo posto da un mese».
→ Gli ha detto che non in da .
8) Valeria mi ha detto: «Il tuo arrivo mi farà felice».
→ Valeria mi ha detto che felice.
9) La mamma ha detto a Sara: «Riordina la tua stanza e non mangiare sul letto».
→ La mamma ha detto a Sara e sul letto.
10) Ivana ha chiesto a Luigi: «Hai avuto quelle notizie dalla tua famiglia che aspettavi da tempo?».
→ Ivana ha chiesto a Luigi se che da tempo.
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La solitudine del riformista

Federico Caffè è stato un brillante economista keynesiano, che ha anche collaborato con la stampa quotidiana. Vi proponiamo il suo più noto articolo, La solitudine del riformista («Il manifesto», 29 gennaio 1982), che è una puntuale, ma anche sconsolata definizione di “riformista”, uomo che per le sue idee è destinato a non avere attorno a sé grandi folle di seguaci.

Scegli la parola corretta tra quelle proposte.

Il riformista è ben consapevole d'essere costantemente deriso da chi prospetta future , soprattutto per il fatto che queste sono vaghe, dai contorni indefiniti e si riassumono, generalmente, in una formula che non si sa bene cosa voglia dire, ma che ha il pregio di un magico effetto di richiamo.

La derisione è giustificata, in quanto il riformista, in fondo, non fa che ritessere una che altri sistematicamente distrugge. E' agevole contrapporgli che, sin quando non cambi «il sistema», le sue innovazioni miglioratrici non fanno che tappare buchi e puntellare un che non cessa per questo di essere vetusto e pieno di crepe (o «contraddizioni»). Egli è tuttavia convinto di operare nella storia, ossia nell'ambito di un «sistema», di cui non intende essere né l'apologeta, né il becchino; ma, nei limiti delle sue possibilità, un componente sollecito ad apportare tutti quei miglioramenti che siano concretabili nell'immediato e non desiderabili in vacuo. Egli preferisce il poco al tutto, il realizzabile all'utopico, il delle trasformazioni a una sempre rinviata trasformazione radicale del «sistema».

Il riformista è anche consapevole che alla derisione di chi lo considera un impenitente tappabuchi (o, per cambiare immagine, uno che pesta l'acqua nel mortaio), si aggiunge lo scherno di chi pensa che ci sia ben poco da riformare, né ora né mai, in quanto a tutto provvede l'operare spontaneo del , posto che lo si lasci agire senza inutili intralci: anche di preteso intento riformistico. Essendo generalmente uomo di buone letture, il riformista conosce perfettamente quali lontane radici abbia l'ostilità a ogni intervento mirante a creare istituzioni che possano migliorare le cose.

Persino Quintino Sella, allorché propose al Parlamento italiano l' delle Casse di risparmio postali, incontrò l'opposizione di chi ritenne il provvedimento come pregiudizievole alla libera di consapevoli cittadini che, per capacità proprie, avrebbero continuato a dar vita a un movimento associazionistico nel campo del credito. Venne obiettato al Sella che «vi sono due modi di amare la libertà; (...) Vi è il modo nostro; amarla di vero affetto, per sé, per il bene che genera e permette ai nostri concittadini, considerarla, studiarla, renderla quanto più si possa benefica; (...) Vi è poi un altro modo; e consiste nel professare a parole un amore sviscerato verso la libertà, e domandarle un abbraccio per poterla comodamente strozzare».(1)

Più che essere colpito dagli del retoricume neoliberista (sempre dello stesso stampo), il riformista avverte con maggiore malinconia le reprimende di chi gli rimprovera l'incapacità di fuoriuscire dal «sistema». Egli è tuttavia, troppo abituato alla incomprensione, quali che ne siano le matrici, per poter rinunciare a quella che è la sua vocazione intellettuale. In questa non rientra, per naturale , il fatto di dover occuparsi di palingenesi immaginarie. Sollecitato in vari modi a farlo, il riformista ha finito col rendersi conto che si pretendeva da lui qualcosa di simile a quello che si chiede a un pappagallo tenuto in gabbia, dal quale, con la guida di una bacchetta, si cerca di ottenere che scelga, con il suo becco, uno dei variopinti manifestini che si trovano in un apposito ripiano della gabbia.

Spaventato da questa implicita in intellettuale pappagallesco, il riformista si rincuora prendendo un libro che gli è caro e rileggendone alcune righe famose:

«Sono sicuro che il potere degli interessi costituiti è assai esagerato in confronto con la progressiva estensione delle idee. Non però immediatamente. (...) giacché nel campo della filosofia economica e politica non vi sono molti sui quali le nuove teorie fanno presa prima che abbiano venticinque o trent'anni di età, cosicché le idee che funzionari di Stato e uomini politici e perfino gli agitatori applicano agli avvenimenti correnti non è probabile che siano le più recenti. Ma presto o tardi sono le idee, non gli interessi costituiti, che sono pericolose sia in bene che in male».(2)


1) F.Ferrara, Discorsi e documenti parlamentari (1867-1875), in Opere complete, vol. 9 (a cura di F.Caffè, Istituto grafico tiberino, Roma, 1972, pp. 307 sg).

2) J.M. Keynes, The General Theory of Employment, Interest, and Money, Macmillan, London 1936; trad. it. Occupazione, interesse e moneta. Teoria generale, Utet